Così nel 2050 la civiltà umana collasserà per il climate change

03/10/2019

Fonte: ilsole24ore.com - Energia e Ambiente

Un’allarmante analisi dei ricercatori del National Center for Climate Restoration australiano delinea uno scenario in cui entro il 2050 il riscaldamento globale supererà i tre gradi centigradi, innescando alterazioni fatali dell'ecosistema globale e colossali migrazioni da almeno un miliardo di persone. Ecco cosa potrebbe avvenire anno dopo anno

Un decennio perduto. Tra il 2020 e il 2030 i policy-maker mondiali sottovalutano clamorosamente i rischi del climate change, perdendo l’ultima occasione per mobilitare tutte le risorse tecnologiche ed economiche disponibili verso un unico obiettivo: costruire un’economia a zero emissioni cercando di abbattere i livelli di CO2, per avere una possibilità realistica di mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei due gradi. L’ultima occasione viene clamorosamente bruciata.

Il risultato è che nel 2030, come avevano ammonito tredici anni prima gli scienziati Yangyang Xu e Veerabhadran Ramanthan in una pubblicazione scientifica che aveva fatto discutere, le emissioni di anidride carbonica raggiungono livelli mai visti negli ultimi due milioni di anni. Nel ventennio successivo si tenta di porre rimedio alla situazione, ma è troppo tardi: nel 2050 il riscaldamento globale raggiunge tre gradi, di cui 2,4 legati alle emissioni e 0,6 al cosiddetto “carbon feedback”, la reazione negativa del pianeta al riscaldamento globale.

L’anno 2050 rappresenta l’inizio della fine. Buona parte degli ecosistemi terrestri collassano, dall’Artico all’Amazzonia alla Barriera corallina. Il 35% della superficie terrestre, dove vive il 55% della popolazione mondiale, viene investita per almeno 20 giorni l’anno da ondate di calore letali. Il 30% della superficie terrestre diventa arida: Mediterraneo, Asia occidentale, Medio Oriente, Australia interma e sud-ovest degli Stati Uniti diventano inabitabili. Una crisi idrica colossale investe circa due miliardi di persone, mentre l’agricoltura globale implode, con raccolti crollati del 20% e prezzi alle stelle, portando ad almeno un miliardo di “profughi climatici”. Guerre e carestie portano a una probabile fine della cività umana così come la intendiamo oggi.

Solo un romanzo di fantaecologia? Purtoppo no: quello che abbiamo letto qui sopra è uno studio scientifico ben documentato dei ricercatori del National Center for Climate Restoration australiano, guidati da David Spratt e Ian Dunlop, dal sinistro titolo “Existential climate-related security risk”.

L’ipotesi dello studio è che esistano rischi di riscaldamento globale non calcolati dagli Accordi di Parigi e in grado di porre “rischi esistenziali” alla civiltà umana. Le ipotesi di climate change delineate nel 2015 dagli Accordi di Parigi, pari a un aumento di tre gradi entro il 2100, non tengono infatti conto del meccanismo di “long term carbon feedback” con cui il pianeta tende ad amplificare i mutamenti climatici in senso negativo, quindi portaando a un ulteriore aumento della temperatura.

Se si tiene conto anche del “carbon feedback”, secondo diverse fonti tra le quali scienziati del calibro di Yangyang Xu e Veerabhadran Ramanathan, esiste un concreto rischio di arrivare a tre gradi di riscaldamento già nel 2050, che salirebbero a cinque gradi entro il 2100. La cività umana non farebbe in tempo a vederli, poiché la maggior parte degli scienziati ritiene che un aumento di quattro gradi distruggerebbe l’ecosistema mondiale portando alla fine della civiltà come la conosciamo oggi. Una china pericolosa in cui, come nota Hans Joachim Schellnhuber del Potsdam Institute, probabilmente «la specie umana in qualche modo sopravviverà, ma distruggeremo tutto quello che abbiamo costruito negli ultimi duemila anni».

Il vero problema, sottolinea lo studio australiano, è rappresentato da alcune “soglie di non ritorno” climatiche come la distruzione delle calotte polari e il conseguente innalzamento del livello del mare. “Soglie di non ritorno” molto pericolose che, una volta oltrepassate, trasformerebbero il climate change in un evento non lineare e difficilmente prevedibile con gli strumenti oggi a disposizione della scienza. Dopo il superamento di quei “punti di non ritorno” il riscaldamento globale si autoalimenterebbe anche senza l'azione dell'uomo, rendendo inutile ogni tardivo tentativo di eliminare le emissioni. Quello della fine della civiltà umana è un rischio minimo ma non assente, sottolinea Ramanathan, che lo stima al 5% («e chi prenderebbe un aereo sapendo che ha il 5% di possibilità di schiantarsi?», nota lo scienziato). È oggi che dobbiamo agire, conclude lo studio: domani potrebbe essere troppo tardi.