Clima, paura per il metano artico: il gigante addormentato si sta svegliando?

30/10/2020

Fonte: qualenergia.it - Articoli - Clima

Un’enorme estensione di metano congelato al largo della costa orientale siberiana potrebbe costituire una nuova, temibile, fonte di questo potente gas serra e accelerare l'aumento delle temperature globali.

Una spedizione scientifica ha riscontrato che il metano contenuto in enormi depositi naturali congelati nell’Oceano Artico – noti come i “giganti addormentati del ciclo del carbonio” – ha iniziato ad essere rilasciato su una vasta area della scarpata continentale, al largo della costa orientale siberiana.

Lo ha reso noto il quotidiano britannico The Guardian.

I ricercatori hanno rilevato alti livelli del potente gas serra fino ad una profondità di 350 metri nel Mare di Laptev, vicino alla Russia, suscitando timori circa il possibile innesco di un nuovo ciclo di feedback climatico che potrebbe accelerare il ritmo del surriscaldamento globale.

I sedimenti marini nell’Artico contengono un’enorme quantità di metano congelato assieme ad altri gas, noti come idrati.

Il metano ha un effetto riscaldante 80 volte più forte della CO2, misurato su un orizzonte di 20 anni. Il Servizio geologico degli Stati Uniti, da parte sua, ha identificato la destabilizzazione degli idrati artici come uno dei quattro scenari più gravi per il rischio di un brusco cambiamento climatico.

La maggior parte delle bolle di metano si sta attualmente dissolvendo all’interno dell’acqua, ma i livelli di metano in superficie sono da quattro a otto volte superiori a quanto ci si aspetterebbe normalmente e questo si sta disperdendo nell’atmosfera, ha indicato il team internazionale a bordo della nave da ricerca russa R/V Akademik Keldysh, sentito da The Guardian.

Il timore è che sia stato raggiunto un nuovo tipping point, punto di non ritorno, che potrebbe aumentare la velocità del riscaldamento globale.

“In questo momento, è improbabile che ci sia un impatto importante sul riscaldamento globale, ma il problema è che questo processo ormai è stato innescato. I sedimenti di idrato di metano lungo la dorsale marina della Siberia orientale sono stati perturbati e il processo continuerà“, ha detto lo scienziato svedese Örjan Gustafsson.

Gli scienziati, membri di una spedizione di studio internazionale pluriennale, hanno sottolineato che le loro scoperte sono preliminari. La scala dei rilasci di metano non sarà confermata fino a quando i ricercatori torneranno, analizzeranno i dati e faranno pubblicare i loro studi su una rivista, in un articolo i cui contenuti saranno prima messi al vaglio da altri ricercatori.

L’Artico è considerato la prima linea nel dibattito sulla vulnerabilità dei depositi di metano congelati nell’oceano.

Con le temperature artiche che attualmente stanno aumentando più del doppio della media globale, la questione di quando – o addirittura se – i depositi di metano saranno rilasciati nell’atmosfera è fonte di notevole incertezza nei modelli informatici climatici.

Il team di 60 membri dell’Akademik Keldysh ritiene di essere il primo a confermare con osservazioni dirette che il rilascio di metano è già in corso su un’ampia area, a circa 600 km dalla costa. In sei punti di monitoraggio, su un’area lunga 150 km e larga 10, hanno osservato nubi di bolle rilasciate dai sedimenti.

In un punto del Mare di Laptev, a una profondità di circa 300 metri, hanno trovato concentrazioni di metano fino a 1.600 nanomoli per litro, 400 volte superiori a quelle che ci si aspetterebbe se il mare e l’atmosfera fossero in equilibrio.

Igor Semiletov, dell’Accademia Russa delle Scienze e alla guida del gruppo di ricerca a bordo, ha detto che le fuoriuscite erano “significativamente più grandi” di qualsiasi cosa osservata finora.

“La scoperta di dorsali caratterizzate da rilasci attivi di idrati è molto importante, e finora sconosciuta”, ha detto. “Questa è una nuova pagina. Potenzialmente possono avere gravi conseguenze climatiche, ma abbiamo bisogno di ulteriori studi prima di poterlo confermare“.

La causa più probabile dell’instabilità è un’intrusione di correnti atlantiche calde nell’Artico orientale. Questa “Atlantificazione” dell’Artico è causata da un’alterazione del clima indotta dagli esseri umani.

Semiletov, che ha studiato quest’area per due decenni, aveva rilevato precedentemente che la piattaforma artica – la più grande di tutti i mari – rilascia a sua volta questo gas.

Per il secondo anno consecutivo, i ricercatori hanno trovato delle bocche nelle zone meno profonde del Mare di Laptev e del Mar Siberiano orientale da cui escono getti di metano a bolle d’aria, che raggiungono la superficie del mare a livelli da decine a centinaia di volte superiori al normale. Si tratta di crateri e voragini simili a quelli segnalati nella tundra siberiana all’inizio di quest’autunno.

Le temperature in Siberia sono state di 5 °C superiori alla media da gennaio a giugno di quest’anno, un’anomalia resa almeno 600 volte più probabile dalle emissioni di anidride carbonica e metano causate dalle attività umane.

Per dare un’idea, il ghiaccio marino lo scorso inverno si è fuso insolitamente presto, mentre il congelamento di quest’inverno non è ancora iniziato, ed è in ritardo rispetto a qualsiasi precedente record.