Consiglio europeo, raggiunto l’accordo sugli obiettivi climatici per il 2030
Fonte: euractiv.it
Un accordo su un maggiore obiettivo di riduzione delle emissioni pari almeno al 55% entro il 2030 è alla nostra portata”, aveva detto Charles Michel, il presidente del Consiglio europeo che presiede il vertice dei Capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Ue di questi giorni. Dopo una notte di negoziati e trattative, l’accordo c’è: l’Ue si impegna a ridurre le emissioni nette di gas serra del 55% entro il 2030.
“Il lavoro per raggiungere questo ambizioso obiettivo è ben avviato. Questo sarebbe un risultato importante e sosterrebbe la nostra ambizione di svolgere un ruolo di primo piano nella lotta al cambiamento climatico”, ha scritto nella sua lettera d’invito ai leader dell’Ue mercoledì (9 dicembre). L’ipotesi di raggiungere un accordo sull’obiettivo climatico dell’Ue per il 2030 è diventata più verosimile dopo che Polonia e Ungheria hanno ottenuto rassicurazioni su una proposta che collega l’erogazione dei fondi Ue al rispetto dello stato di diritto: il nodo dello stato di diritto, infatti, rischiava di congelare non solo il Recovery Plan ma anche l’accordo sulla riduzione delle emissioni. Non solo perché all’interno del Recovery c’è quella specifica voce per la riconversione ecologica (il Just Transition Fund), ma anche perchè la Polonia, la cui economia è fortemente basata sull’uso dei combustibili fossili voleva rassicurazioni in merito all’idea di “equità e alla solidarietà” nel raggiungimento degli obiettivi climatici dell’UE. Che tradotto significa centrare gli obiettivi climatici 2030 a livello aggregato, senza vincolare tutti e 27 gli Stati Membri al raggiungimento di quelle soglie.
Nelle conclusioni “provvisorie” del vertice si leggeva che “il Consiglio europeo approva l’obiettivo vincolante dell’Ue di una riduzione interna netta delle emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto al 1990” e invita i legislatori dell’Ue “a inserire questo nuovo obiettivo nella legge europea sul clima”, che dovrebbe essere adottata “rapidamente” dal Parlamento europeo e dai rappresentanti dei 27 Stati membri dell’Ue. Sembrerebbe dunque che le criticità avanzate da Varsavia nel corso del vertice di ottobre possano essere superate e che la preoccupazione per il costo della transizione verso un’economia a zero per una regione dove l’energia elettrica è ancora prodotta tramite il carbone abbia convinto gli altri Paesi a optare per il raggiungimento degli obiettivi a livello complessivo.
Le trattativa si sono svolte intorno ad un nodo complicato racchiuso in una frase che si leggeva nelle conclusioni provvisorie: “Il nuovo obiettivo del 2030 deve essere raggiunto in modo da preservare la competitività dell’Ue e tenendo conto dei diversi punti di partenza degli Stati membri e delle specifiche circostanze nazionali”. In primo luogo la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca hanno chiesto più fondi UE per finanziare la transizione verde e hanno chiesto maggiori dettagli su quanto la Commissione Europea proporrà l’anno prossimo per raggiungere i nuovi obiettivi del 2030; in secondo luogo, Budapest e Varsavia hanno soprattutto chiesto che i leader dell’UE siano consultati per decidere della futura legislazione sul clima: sulla questione scende dunque l’ombra dell’unanimità, un meccanismo che ha rischiato proprio nelle ultime settimane e su iniziativa dei due Paesi dell’est di bloccare i fondi per la ripresa.
Passa anche il principio secondo cui gli Stati membri avranno il diritto di “decidere il loro mix energetico e di scegliere le tecnologie più appropriate” – ancora una volta una formulazione rivolta alla Polonia, alla Repubblica Ceca e a quegli altri Stati membri dell’Est che puntano allo sviluppo dell’energia nucleare e del gas naturale per sostituire le loro vecchie centrali a carbone. Sono state infatti sempre Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria e Romania hanno a chiedere questa “neutralità tecnologica” per raggiungere l’obiettivo climatico più elevato. Un punto molto delicato che da sempre solleva le obiezioni e i timori delle organizzazioni ambientaliste.
Naturalmente per centrare l’obiettivo della riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 al livello europeo, altri Paesi dovranno essere più “virtuosi”. Se guardiamo all’Indice di competitività sostenibile 2020 ci accorgiamo quali saranno i Paesi a trainare la transizione ecologica europea: la Svezia è il primo paese al mondo per competitività sostenibile, e subito dopo vengono Danimarca e Finlandia, insieme agli Paesi del Nord Europa che non fanno parte dell’Ue (come Norvegia e Islanda).