Crisi climatica: quattro ricette per una vera svolta della politica
Fonte: qualenergia.it - Articoli
L’associazione europea delle accademie scientifiche, il cui compito è consigliare la politica sui temi a più alto contenuto scientifico, chiede ai decisori di agire contro la “dittatura dell’adesso” e il totem della crescita.
“Ascoltiamo la scienza”, è diventato il mantra della politica, o almeno di quella più matura e responsabile, da quando è cominciata la pandemia Covid-19.
E del resto l’unica nostra speranza per superare questo momento critico è affidarci agli scienziati, che ci dicano intanto come ridurre i contagi, in attesa che rendano disponibili terapie e vaccini.
Peccato che quando si passa ad altre e persino più gravi emergenze, come la distruzione della biodiversità terrestre e il cambiamento climatico, tanta lucidità svanisca nelle menti dei politici.
Certo, alcuni sono capaci di proporre importanti iniziative, come l’europeo Green Deal, ma senza una vera svolta nella filosofia di base di economia e politica contemporanee, che includa un vero ascolto di ciò che la scienza dice, e non delle sirene di chi ha interesse a non cambiare nulla, anche quel genere di programmi rischiano di restare solo slogan e non farci evitare un disastro planetario.
A ricordacelo non è un qualche gruppo di estremisti ambientalisti, ma la European Academies’ Science Advisory Council (ESAC), l’associazione europea delle accademie scientifiche, il cui compito è consigliare la politica sui temi a più alto contenuto scientifico.
Ma leggendo il loro nuovo rapporto (allegato in basso), “Perspective on transformative change”, ci sembra proprio che i loro consigli non vengano molto seguiti.
«Solide evidenze scientifiche sulle conseguenze drammatiche presenti e future del cambiamento climatico e della devastazione degli ambienti naturali, sono disponibili ormai da molti anni», ricorda Michael Norton, direttore del programma ambientale dell’EASAC. «Eppure, sia l’impatto sulla biosfera delle attività umane, che le emissioni di gas climalteranti, continuano ad aumentare».
Il punto è che la comprensione scientifica (e di buon senso) che su un pianeta finito non si possono avere una crescita infinita della popolazione, dell’inquinamento e del consumo di risorse, è stata acquisita fin dagli anni ’70, ma politica ed economia, da allora, non hanno abbandonato il totem della “crescita economica” e del liberalismo sfrenato, facendo temere che «le traiettorie insostenibili che la società umana sta seguendo, siano ormai incorporate stabilmente nelle teorie economiche e nei sistemi di “premi e punizioni” che regolano la politica globale», spiega Norton.
In altre parole, gli economisti non riescono più neanche a immaginare una società che non ruoti intorno alla crescita del Pil, costi quel che costi, mentre la politica si è abituata a privilegiare le decisioni che fanno subito aumentare consenso, piuttosto che provare a riorganizzare la società su una visione di sostenibilità sul lungo termine.
Eppure, questi modi di pensare vanno superati, perché, come afferma uno dei membri dell’EASAC, Anders Wijkman, della Reale Accademia Svedese delle Scienze «Dei 10 limiti ambientali fondamentali da non superare, che abbiamo delineato alcuni anni fa, ne abbiamo già superati tre, cambiamento climatico, distruzione biodiversità e ciclo dell’azoto, mentre ci stiamo avvicinando a quelli di deforestazione e acidificazione dei mari. Se non torniamo subito sui nostri passi, scateneremo un effetto domino dalle conseguenze disastrose».
La scienza non potrebbe quindi essere più chiara di così. Eppure, chi decide in questo caso non vuole ascoltarla, preferendo slogan, grandi dichiarazioni, obbiettivi ambiziosi sul lungo termine, ma politiche di piccolo impatto ora, evitando di fare da subito qualcosa di decisivo.
Prendiamo l’accordo di Parigi del 2015. Invece di mettersi d’accordo direttamente sulle emissioni da tagliare e le misure da prendere per farlo, i governi hanno fissato delle soglie all’aumento delle temperature. Peccato che in questi 5 anni solo due nazioni abbiano implementato le politiche necessarie a rimanere sotto quelle soglie, con i propri tagli di gas serra: Marocco e Buthan, non esattamente i maggiori emettitori del mondo.
Il risultato di questa inazione è che il divario fra quello che si è fatto e quanto si dovrebbe fare continua a crescere e il livello di CO2 in atmosfera è ormai già quasi incompatibile con l’obbiettivo dei +1,5 °C, ed entro pochi anni lo sarà anche per i +2 °C.
«Al di là degli slogan, la politica preferisce di gran lunga ascoltare i rappresentanti del mondo economico minacciato dalla transizione verso la sostenibilità, piuttosto che gli scienziati. La cosa è chiara nel caso della perdita di biodiversità, che richiederebbe, almeno, di smettere di sovvenzionare chi distrugge direttamente la natura, come le flotte pescherecce industriali, i deforestatori per legname, piantagioni e pascoli, le compagnie minerarie e così via. Ma, nonostante dichiarazioni di intenti e grandi accordi internazionali, le relative lobby ricevono sempre la massima attenzione da parte dei decisori politici, che non si sognano di ostacolarle veramente, con il ricatto delle impopolari delocalizzazioni e le perdite di introiti fiscali e posti di lavoro», argomenta Wijkman.
Un discorso simile salta all’occhio anche nel caso del rinnovato impegno climatico dell’Unione Europea, il Green Deal.
«Si parla tanto di dirigere le risorse verso un’economia più sostenibile, ma non si considera che l’inerzia della “economia insostenibile” è enorme: persino adesso, durante l’emergenza pandemia, il mondo produttivo che ruota intorno ai combustibili fossili, è riuscito ad accaparrarsi il doppio di incentivi e aiuti economici di quello legato a energie rinnovabili e sostenibilità», dice Norton.
«Ma ancora più sconcertante – aggiunge – è che anche chi propone il Green Deal pare voglia raggiungere la “sostenibilità” senza mettere minimamente in dubbio il dogma del consumismo e delle disuguaglianze economiche, come se bastasse sostituire prodotti “grigi” con prodotti “verdi” per risolvere tutto. È ciò che chiamo la “dittatura dell’adesso”: si punta a una ricchezza illusoria fatta di prodotti ottenuti a spese dell’ambiente, della salute e della felicità di tante persone, invece che alla vera ricchezza di un ambiente sano e di una società equilibrata. Niente illustra meglio di questa illusione, il distacco di buona parte dell’élite e di chi ci governa, dal mondo reale».
È tutto perduto, quindi?
«No, si sta affacciando sulla scena mondiale una generazione di giovani, di cui Greta Thunberg è stata l’apripista, che ha capito cosa voglia dire “ascoltare la scienza”, e non le lobby. Spero che siano loro, con la loro onestà e franchezza, ad aiutarci a farlo capire anche alle élite mondiali», dice Wijkman
Secondo l’EASAC queste sono le 4 misure più urgenti che la politica deve attuare.
-Sostituire il Pil con un indice del benessere della popolazione, svincolato dalla distruzione di risorse.
-Superare l’influenza delle lobby della “economia insostenibile”, cominciando a tagliare sussidi, che li fanno restare competitivi, a quei settori non sostenibili.
-Smetterla con la politica del breve termine, coinvolgendo il pubblico e la parte più illuminata di industria e finanza, in un dibattito su come superare il consumismo e ridisegnare la società per raggiungere uno stato di benessere sostenibile e diffuso globalmente, anche sul lungo periodo
-Approfittare della pandemia, e del desiderio di un mondo più pulito e sano che suscita, per far sì che politiche come il Green Deal non vengano “dirottate” dai soliti interessi, ma riescano a realizzare fino in fondo la svolta verso la sostenibilità per cui sono concepite
«Ci rendiamo conto di chiedere molto ai leader del mondo, che pensavano che la scienza gli avrebbe dato gli strumenti per una crescita infinita su un pianeta finito: devono accettare che, invece, la stessa scienza ha concluso, che ciò non è possibile. Adesso, solo lavorando con la natura, e non contro di essa, possiamo rimediare agli errori fatti inseguendo quella pericolosa illusione, e dare così ai nostri figli una chance per il futuro», ricorda Louise Vet, dell’Istituto di Ecologia del Paesi Bassi.