Il climate change causerà la prossima crisi finanziaria. E potrebbe essere devastante

20/01/2020

Fonte: ilsole24ore.com - Finanza - Temi Caldi

Allarme della Banca dei Regolamenti internazionali: sarà un evento imprevedibile, un “cigno verde”, con effetti molto difficili da gestire. Monito per le banche centrali: devono avere un ruolo di stimolo e di coordinamento

Un nuovo cigno si staglia all’orizzonte e porta con sè i semi della prossima crisi finanziaria sistemica che potrebbe essere estremamente più potente e difficile da gestire delle crisi sin qui affrontate a livello globale. E questa volta non sarà più un cigno nero (come nel celebre libro Black Swan di Nassim Nicholas Taleb), ma verde e sarà trainato dai cambiamenti climatici.

L’allarme è lanciato dalla Banca dei regolamenti internazionali, l’istituzione regolatoria di supporto per le banche centrali mondiali e per il Financial Stability board, in un rapporto appena pubblicato dal titolo “Cigno verde. Cambiamenti climatici e stabilità del sistema finanziario: quale ruolo per banche centrali, regolatori e supervisori”, redatto dal vice dg Luiz Awazu Pereira de Silva assieme a Patrick Bolton, Morgan Després, Frédéric Samama e Romain Svartzman.

Cambiamenti climatici imprevedibili

In questa fase di grande incertezza, legata in sostanza alla grande imprevedibilità su come evolveranno i cambiamenti climatici, «le banche centrali possono essere trascinate inevitabilmente in acque inesplorate. – dice il rapporto – Se restano ferme e aspettano che altre autorità governative si muovano, possono essere esposte al rischio di non essere più in grado di raggiungere l’obiettivo di assicurare la stabilità finanziaria e dei prezzi. E possono essere forzate a intervenire come salvatori di ultima istanza del clima ed essere costrette ad acquistare su grande scala asset svalutati (ancora incentrati sulle emissioni di carbonio, ndr) per salvare il sistema finanziario e anche oltre». Nella sostanza, la politica del wait and see (aspetta e vedi cosa accade), può rivelarsi molto pericolosa anche se l’interventismo non è la giusta risposta, perché «la buona volontà può aprire al moral hazard».

Il rapporto

La premessa del rapporto è nel fatto che i cambiamenti climatici sono fonte d’instabilità finanziaria e dei prezzi e per questo motivo le banche centrali sono chiamate a rivedere il ruolo ruolo, soprattutto in un’ottica di maggiore coordinamento tra le loro politiche e quelle dei governi e le iniziative del settore privato. Il rapporto si rifà al bestseller di Taleb, Black Swan, il Cigno Nero, pubblicato nel 2007 in concomitanza con la grande crisi causata da mutui americani subprime. I cigni neri sono eventi inattesi e rari, comunque non prevedibili con i modelli di analisi tradizionali (basati sulle serie storiche); i loro impatti sono su larga scala o estremi, possono essere spiegati solo dopo che sono avvenuti.

I cigni verdi – dice il rapporto – rispetto ai neri hanno la peculiarità di essere molto più pericolosi e amplificati da tre caratteristiche: la ragionevole certezza che alcune combinazioni di rischi naturali e connessi alla transizione energetica si materializzeranno e questo comporterà la necessità di un’azione per contrastarli nonostante l’incertezza su quando si verificheranno.

Secondo: le catastrofi naturali, inoltre, sono più serie della più pericolosa delle crisi sistemiche, perché possono porre una seria minaccia per l’umanità.

Terzo: la complessità di una crisi generata dai cambiamenti climatici è molto più elevata, con un articolato sistema di reazioni a catena ed effetti a cascata associati che possono «generare dinamiche ambientali, geopolitiche, sociali ed economiche fondamentalmente imprevedibili». L’aspetto caratterizzante di questi cigni, neri o verdi che siano, è che non sono prevedibili con i tradizionali modelli basati sulle serie storiche (probabilità misurate sulla base di eventi passati), ma sarà necessario ricorrere a nuovi modelli basati su scenari predittivi che tengano conto anche delle reazioni a catena.

Eppure nemmeno questi da soli basteranno – secondo il report – a tenere d’occhio i rischi e poterli controllare «finché non vengono adottate iniziative a livello di sistema». Una sfida titanica: basta pensare alla politica del governo Usa nell’era Trump, con il governo che ha disdetto gli accordi di Parigi sulle azioni e i target da raggiungere per ridurre le emissioni di anidride carbonica.

Il ruolo delle banche centrali

Secondo il rapporto le banche centrali devono assumere un ruolo più proattivo per sollecitare cambiamenti di policy e un maggiore coordinamento su scala globale. Dovrebbero coordinare la loro azione con un più ampio sistema di misure che devono essere però essere attivate e implementate da altri soggetti (governi, settore privato, società civile e comunità internazionale). Tra queste misure viene caldeggiata la necessità di esplorare nuovi modi per bilanciare tra loro politiche monetarie, fiscali e prudenziali.

Le iniziative suggerite

Tra le iniziative suggerite un nuovo approccio per l’individuazione dei rischi connessi al clima utilizzando modelli previsionali basati su metodologie prospettive. Questi rischi «devono essere integrati nella regolazione prudenziali per le banche e sottoposti al monitoraggio sulla stabilità finanziaria», che è una delle prerogative del Financial Stability Board. E ancora: spingere il settore privato a una maggiore “disclosure” ovvero comunicazione dei propri rischi legati ai cambiamenti climatici e alle emissioni di carbonio.

Ancora di più: il report caldeggia una «riforma del sistema monetario e finanziario fondandolo su un approccio che consideri la tutela del clima e la stabilità finanziaria come concetti interconnessi» nel quale la stabilità climatica sia considerata un bene pubblico che «deve essere supportato da parte del sistema monetario e finanziario internazionale». Insomma, vanno un po’ rivisti anche il mandato e le priorità del Financial Stability Board.

Nel documento si fa riferimento anche alla necessità di individuare un nuovo carbon pricing, che in sostanza è il metodo per misurare i costi della transizione energetica e tradurli in misure per incentivare il cambiamento bilanciandoli con politiche a sostegno dei settori penalizzati dal cambiamento dei processi produttivi verso un modello più sostenibile.

L’utilizzo della carbon tax come strumento isolato per spingere gli operatori economici e finanziari a spostare capitali e sistema produttivo verso strumenti e processi green non basta più. Anzi: può portare a drammatiche conseguenze distributive, ad esempio creando disoccupazione e svalutando rapidamente il valore di asset legati all’emissione di anidride carbonica (ad esempio la dismissione di una centrale a carbone, o stabilimenti la cui produzione è basata sull’uso di carbone o che producono auto tradizionali).