Chi inquina paga, anche alla frontiera: ecco come l’Europa pensa di “tassare” la CO2

28/01/2021

Fonte: qualenergia.it - Articoli

Spunti e analisi sull'ipotesi di estendere il mercato europeo ETS alle importazioni.

Far pagare la CO2 su scala internazionale, applicando il principio “chi inquina paga”, è uno dei compiti più difficili da attuare per i governi e le istituzioni, nell’ambito delle politiche su energia e clima.

In prima linea c’è l’Unione europea, che a giugno presenterà una proposta legislativa per varare una nuova tassa alla frontiera sulla CO2, una sorta di dazio ambientale riassunto nell’acronimo CBAM, Carbon Border Adjustment Mechanism (vedi Tassa sulla CO2 alla frontiera, tutti ne parlano ma farla è difficile).

Perché è così importante? Qual è la posta in gioco?

In ballo non c’è solo la competitività delle industrie europee, ma anche il raggiungimento degli obiettivi climatici al 2030-2050 fissati da Bruxelles: ridurre del 55% le emissioni di anidride carbonica (entro il 2030), per poi azzerare le emissioni a metà secolo.

E saranno i grandi consumatori di energia – industrie come cementifici, acciaierie, cartiere, stabilimenti petrolchimici – a essere maggiormente coinvolti dal “terremoto” finanziario che potrebbe essere propagato da una “tassa” alla frontiera sulla CO2. Usiamo le virgolette perché ora nel dibattito in sede Ue, come vedremo tra poco, si preferisce usare termini diversi come charge e levy (prelievo, addebito) anziché carbon border tax.

Il tema è di forte attualità per svariati settori industriali: l’associazione francese delle imprese (Afep: Association française des entreprises privées) ha dedicato uno studio molto approfondito e un recente webinar al Carbon Border Adjustment Mechanism per valutare strumenti e soluzioni; sono tanti, infatti, gli ingranaggi richiesti per far “girare” correttamente un simile meccanismo.

Per prima cosa, osserva lo studio, il prezzo della CO2 dovrà salire parecchio nei prossimi anni per essere allineato ai nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni: si parla di almeno 56 euro per tonnellata di CO2 nel 2030 e di cifre notevolmente più alte all’orizzonte 2050 (più di 400 €/ton).

Ricordiamo che il prezzo medio della CO2 nel 2020 sul mercato ETS europeo (Emissions Trading Scheme) si è attestato a circa 25 euro per tonnellata, con un picco sui 34 euro registrato a inizio 2021.

E se una tonnellata di CO2 costa sempre di più – ricordiamo che il mercato ETS coinvolge migliaia di industrie europee cosiddette “energivore” obbligandole a scambiare quote di emissione prestabilite per ogni settore manifatturiero – le industrie sono incoraggiate a investire in tecnologie più pulite per abbattere consumi energetici e relative emissioni inquinanti.

In realtà, per quanto riguarda il meccanismo alla frontiera, sembra che l’Europa si stia orientando verso un prelievo (non una vera e propria tassa), calcolato sul “contenuto” di CO2 dei beni importati (le materie prime ad esempio) in modo da rispecchiare esattamente il valore della CO2 sul mercato interno ETS.

Si parla, insomma, di un mercato ETS teorico, “notional ETS”, da applicare alle importazioni, spiega l’agenzia EurActiv.

Con una tassa in senso stretto, infatti, c’è il rischio di creare un meccanismo fiscale incompatibile con le regole di concorrenza stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio.

Il punto fondamentale è che il Carbon Border Adjustment Mechanism non deve diventare una misura protezionista, ma una soluzione per garantire a tutte le industrie, europee e straniere, lo stesso terreno di gioco con regole comuni per quanto riguarda i criteri ambientali.

La logica sarebbe questa: se un’azienda che produce acciaio in Asia vuole vendere il suo acciaio in Europa, dovrebbe acquistare un certo numero di quote di CO2, proprio come fanno le industrie europee sul mercato ETS interno.

Allora bisognerebbe calcolare uno standard di riferimento europeo (benchmark) per il consumo di carbonio associato alla produzione industriale di un certo materiale (acciaio, carta, cemento e così via) e poi applicarlo alle importazioni di quello stesso materiale.

E con i proventi del Carbon Border Adjustment Mechanism si potrebbero finanziare misure di green economy a livello Ue: efficienza energetica, fonti rinnovabili, tutela ambientale, magari anche in Paesi in via di sviluppo per aiutarli nella transizione energetica.