I Bitcoin consumano energia quanto l’intera Argentina

23/02/2021

Fonte: corriere.it - Economia - Finanza

l’allarme ambientale (e del Tesoro Usa)

Anche chi scrive questo articolo è circondato da amici e parenti che, un po’ in ritardo forse, si stanno facendo prendere dalla febbre del bitcoin, la criptovaluta più polare tra quelle sul mercato che ormai dall’inizio dell’anno sfonda periodicamente il proprio record precedente. Complice anche l’annuncio di Egon Musk di aver investito, attraverso Tesla, 1,5 miliardi di dollari in bitcoin, il 20 febbraio il bitcoin ha aggiornato il suo massimo storico superando per la prima volta la barriera dei 57 mila dollari. All’imprenditore sudafricano, con cittadinanza canadese e naturalizzato statunitense, l’operazione non è apparsa in contraddizione con il suo essere un beniamino del popolo della finanza sostenibile. Eppure, il bitcoin è una moneta affamata di energia, non ne è mai sazia, al punto che l’anno scorso ha consumato l’equivalente energetico dell’intera Argentina. Insomma, per chi ama il pianeta blu e si batte per scongiurare gli effetti nefasti del cambiamento climatico, la criptomoneta è una vera sciagura perché è una gigantesca fabbrica aperta 24 ore su 24 di emissioni di CO2.

La bocciatura del Tesoro Usa

Persino il numero uno del Tesoro Usa, Janet Yellen, ha bocciato la valuta digitale, tanto per sui suoi aspetti «altamente speculativi» e le sua «inefficienze», quanto per le transazioni e usato anche «per illeciti». Yellen, 74 anni, la prima donna a guidare il Tesoro americano dopo essere stata la prima donna alla presidenza della Federal Reserve, la banca centrale Usa, ha parlato del bitcoin intervenendo alla conferenza organizzata dal New York Times. «Non credo che il Bitcoin sia ampiamente utilizzato come meccanismo di transazione - ha detto - È un modo estremamente inefficiente di condurre le transazioni e la quantità di energia che viene consumata nel processare quelle transazioni è sconcertante» (qui l’articolo completo).

La pratica poco ecologica del “mining”

Secondo alcuni studi realizzati dall’università di Cambridge, comunque, il bitcoin consuma circa 121,36 terawattora all’anno. Ma com’è possibile che qualcosa che non esiste fisicamente com’è il caso di una moneta virtuale possa consumare così tanta energia? La risposta sta tutta nella pratica del mining, ovvero l’attività di generazione di bitcoin (termine associato al “gold mining”, l’estrazione dell’oro nelle miniere). Per semplificare all’estremo possiamo dire che la rete Bitcoin crea e distribuisce in maniera casuale un certo ammontare di monete all’incirca sei volte l’ora ai client che prendono parte alla rete in modo attivo, ovvero che mettono a disposizione la propria potenza di calcolo e contribuiscono alla gestione e alla sicurezza della rete stessa. All’inizio era lo stesso client che si occupava di svolgere i calcoli necessari all’estrazione dei bitcoin, ma con l’aumentare della potenza di calcolo totale della rete, questa funzionalità è diventata antieconomica ed è stata rimossa.

36 milioni di tonnellate di CO2

Ora, esistono programmi specializzati che utilizzano un hardware dedicato, ma i “minatori” sono costantemente al lavoro e i mega computer che utilizzano si attaccano ovviamente alla corrente, spesso magari prodotta dal carbone come in Cina o in Siberia. E così, la quantità di operazioni per generare ed estrarre bitcoin è diventata talmente elevata da richiedere grandi quantità di risorse in termini di energia elettrica e potenza computazionale, con relativa emissione di 36 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno, stando ai dati dell’International Energy Agency. E poi c’è il problema dei rifiuti elettronici, diretta conseguenza del rinnovo costante dei computer, perché i minatori li vogliono sempre più aggiornati e potenti. Anche qui il calcolo si aggira sulle 11 mila tonnellate all’anno di rifiuti, che coprono una quantità di e-waste pari a quella prodotta da una piccola nazione come il Lussemburgo.

Dai bollitori inglesi agli sprechi degli Usa

Il calcolatore online utilizzato dai ricercatori dell’Università di Cambridge si basa su un prezzo medio dell’elettricità per kilowattora di 0,05 dollari ed è arrivato, come detto, a quantificare in 121,36 terawattora il consumo energetico annuale della criptomoneta: si parla praticamente di poco più di 6 miliardi di dollari. Per avere un’idea: l’intera Argentina consuma 121 TWh, gli Emirati Arabi Uniti 113,20 TWh e i Paesi Bassi 108,8 TWh. Secondo Michel Rauchs, ricercatore di Cambridge che ha co-inventato lo strumento utilizzato per fare la stima dei consumi energetici dei bitcoin, l’energia utilizzata nel mining “potrebbe alimentare tutti i bollitori del Regno Unito per 27 anni”. E a meno che il valore della criptomoneta non scenda repentinamente, “questo consumo di energia, e quindi la produzione di CO2, non è destinata a diminuire”.

Il costo energetico del sistema bancario

I sostenitori della criptovaluta ideata da Satoshi Nakamoto giustamente evidenziano come il mantenimento del sistema bancario di oggi sia decisamente più costoso in termini energetici, tra server, filiali e sportelli automatici, ma questo non cancella il peso dei bitcoin, anche perché nel mondo ci sono almeno altre 500 criptovalute che rendono il quadro dell’impatto ambientale delle monete virtuali sconfortante. Per riequilibrare le colpe, durante il suo intervento nel podcast Tech Tent della BBC, Rauchs ha sottolineato che il consumo energetico degli elettrodomestici sempre accesi e non utilizzati nei soli Stati Uniti basterebbe ad alimentare l’intera rete Bitcoin per un anno. Non che questo però ci possa consolare.