L'auto elettrica è una bufala

29/12/2017

Fonte: Italia Oggi

Per ora. L'auto del futuro c'è già, è l'auto ibrida. Non c'è gara fra una Toyota e una Tesla.

Il caso Tesla ha assunto ormai una valenza che va molto al di là della strategia prodotto-mercato di una casa automobilistica di nicchia, inventata da un markettaro (i colti preferiscono visionario) come Elon Musk. Da tempo, la rivista Zero Hedge ha cercato di capire perché Wall Street continui a ignorare le perdite (mostruose) di Tesla.

Eccole: nel 2016 ha prodotto 76mila auto e perso 773 milioni di dollari, ora viaggia sui 700 milioni di perdite al trimestre, cioè perde oltre 30mila dollari per auto venduta. Eppure ha una capitalizzazione dell'ordine di 60 miliardi di dollari contro i 50 di Gm, i 45 di Ford.

Poiché il mercato ha sempre ragione, «a prescindere» avrebbe detto Totò, cosa dovrà succedere affinché Musk diventi winner-take-all (chi vince prende tutto) dell'intero comparto? Banalmente, costruire un monopolio (ci sta provando), facendo imporre ai singoli governi norme di circolazione automobilistica privata limitata alle sole auto elettriche, se possibile alle sue.

La filosofia è quella della smart mobility (nel linguaggio liberal, e pure politicamente corretto: «Muoversi meglio per vivere meglio»). Solito il giochino delle felpe californiane: fissare un obiettivo di grande fascino come «Salvare il pianeta, visto che presto supereremo i 10 miliardi».

Come? Con l'auto elettrica a guida autonoma. In che modo? Limitando l'auto a solo quelli che se la possono permettere? Pochi? Ovvio, una percentuale di quel 10 per cento dell'unica classe sociale che avrà un lavoro ben retribuito (il 90 per cento farà lavori o idioti, o insalubri, o part-time, tutti mal pagati: con reddito di cittadinanza integrativo, per sopravvivere da cittadino zombie).

Come si vede l'opposto dell'idea di Henry Ford di retribuire i suoi dipendenti più del mercato affinché fossero pure clienti. Come si muoveranno i cittadini zombie? Con mezzi pubblici gestiti da Uber a prezzi prefissati dal loro algoritmo. Ricordate quando ci dicevano: l'automobile privata è libertà?

Era una balla. A proposito, tre quarti dei cittadini dichiarano di rifiutare le auto a guida autonoma: tranquilli, essendo tutti o precari o zombie non potrete permettervelo, accontentatevi di passare il tanto tempo libero che avrete sui social e su internet (gratuiti).

Tornando a bomba mi chiedo perché i grandi costruttori mondiali dell'auto siano così pigri. Il prodotto del futuro l'hanno, l'ibrido, basta fare un viaggio di 500 chilometri, percorso misto città-autostrada con una Toyota ibrida e con una Tesla S: non c'è partita. La loro potenza condiziona (per ora) i governi più potenti del mondo (Usa, Cina, Giappone, Germania, Uk, Sud Corea, Francia; noi italiani no, ormai siamo ridotti a quattro stabilimenti cacciavite), sono i più grandi datori di lavoro (pregiato) al mondo. Se non fanno nulla sono destinati a diventare i «carrozzieri» delle felpe californiane.

È ciò che vogliono?

Quand'ero giovane, e lavoravo nell'automotive (componenti) le batterie erano al piombo acido, ora sono al litio-cobalto. Quelle erano inquinanti (noi non lo sapevamo), queste lo sono di più, e lo sappiamo, ma sappiamo pure che sono estratte con metodi inquinanti e vengono da paesi che calpestano i diritti umani. Nel frattempo la speculazione finanziaria si è scatenata, i prezzi sono già scattati verso l'alto: un chilo di carbonato di litio è passato da 7 a 26 dollari, e nessuno scrive che su una Tesla ce ne vogliono almeno 60 chili.

Per non parlare del cobalto, per il 60% estratto nella Repubblica del Congo, anche da minatori bambini. I giganti svizzeri (Glencore) e cinesi (China Moly) stanno investendo miliardi di $ in Congo dopo essersi accaparrati i giacimenti più importanti. Ancora prima di cominciare a produrre su scala industriale le batterie Tesla, il prezzo per tonnellata del cobalto è già schizzato a 58 mila dollari. Una chicca. Secondo uno studio dell'Istituto di Ricerca Ambientale svedese una batteria Tesla (una), ancor prima di lasciare lo stabilimento ove viene prodotta, ha già emesso nell'atmosfera 17,5 tonnellate di diossido di carbonio, equivalente a otto anni di emissioni di un'auto di oggi circolante a benzina o diesel.

Vivrà e poi dovrà essere smantellata. Il bilancio ecologico lo si deve fare al termine del ciclo, cioè dalla culla alla tomba del prodotto. E poi, mai dimentichiamo che, quando la mettiamo in ricarica, dall'altra parte della spina solo per il 5% sono energie prodotte da vento e sole, il resto è «schifoso» fossile e nucleare. Quindi più produciamo auto elettriche più inquiniamo il pianeta.

Ci rendiamo conto di cosa parliamo e delle grandezze in gioco? Abbiamo forse una massa di studi coerente con i problemi posti? No. Eppure governi idioti decidono date cervellotiche di fine corsa di tecnologie sicure senza avere testato quelle nuove, oltretutto nate vecchie, messe a punto da aziende canaglia. Senza analisi scientifiche, economiche, di disponibilità di materie prime, di componenti strategici, di emissioni, di inquinamento, non si può neppure dibattere, figuriamoci decidere.

Secondo aspetto, fondamentale, e perfettamente colto dal solo Francesco Paternò (Carblogger): Musk si rifiuta di comunicare al mercato il Ttm, time to market (tempo che trascorre dalla ideazione alla commercializzazione del prodotto). Questo periodo, un tempo era di 5 anni, non è mai sceso sotto i 3. Ricordiamo tutti il disastro industriale avvenuto a cavallo degli anni 2000 quando molti straparlavano di «auto paperless» (auto disegnate dal computer, la carta uccisa dal digitale, si diceva), quindi con un Ttm di 18 mesi.

Un flop colossale paragonabile solo a quello della Ford Edsel, anni 60. Per ora il Ttm di Tesla è una fake news. Quando Musk lo ridurrà o lo azzererà (non solo in termini di comunicazione) entrerà nell'Olimpo dell'Auto. Nel ceo capitalism e nel linguaggio dei politici attuali c'è una totale confusione fra i desideri e i fatti, gli obiettivi e l'execution.

Il passaggio dalla trazione benzina-diesel-ibrido a quella full electric non ha nulla a che fare con il passaggio dalla carrozza con i cavalli alla Ford T di cui blaterano intellò, sociologi, economisti, politici d'accatto. Finalmente il presidente di Toyota, Takeshi Uchiyamada ha detto ciò che tutti noi, non di regime, sapevano: «Questa tecnologia avrà un futuro, ma prima di andare in produzione ci vorrà tempo, Tesla non è un nostro concorrente, e non è neppure un esempio da seguire».

Possibile che nessuno capisca il giochino delle felpe californiane? Vogliono smantellare un business di altissima strategicità (industrial-socio-politica) come quello delle ruote, con una trazione (elettrica) non competitiva con l'attuale (ibrida), solo per impossessarsene e sostituire il loro cuore con una piattaforma digitale e con app idiota.

Ma non hanno alcun know how specifico, solo slide di obiettivi e prototipi presentati a media osannanti stile presentazioni Apple e Alibaba. Null'altro che ballon d'essai. Modo elegante per non dire arlecchinate.

Auto elettrica, dal dire al fare

Due giorni fa è uscito su ItaliaOggi un mio Cameo dal titolo: «L'auto elettrica per ora è una bufala». Mi sono arrivate diverse centinaia di risposte-commenti sotto forma di mail, tweet, telefonate, addirittura due inviti a tenere una conferenza sull'auto elettrica.

Fra i lettori si sono aperti dibattiti, tecnici o filosofici, che ho apprezzato ma sui quali non sono intervenuto. Lo faccio ora.

Nello stesso giorno Repubblica pubblicava un inserto di 32 pagine intitolato «La Scossa», sottotitolo «L'auto elettrica pronta per l'invasione» (chiara la linea editoriale del giornale liberal per eccellenza).

Su tale supplemento si sono esercitate le migliori firme dell'automobilismo, ed è stato tutto un peana, un inno dedicato alla divinità Tesla e a Elon Musk.

Solo a pagina 19 si trova un pezzo dell'amico Francesco Paternò, titolare di un blog specialistico (Carblogger) e studioso serio del mondo dell'auto, che racconta, sottovoce, i primi guai di Tesla, con una notazione «A sorpresa, a Wall Street le azioni Tesla vanno giù».

Poi scoppia la polemica Enel versus Sergio Marchionne (via Eni) sul metano. Il primo finge che sia possibile la sostituzione totale dei combustibili fossili, il secondo prende atto che, non avendo investito sulla modalità vincente (ibrido), intende ripiegare sul metano, come carburante del «durante» (sto con Marchionne, è mossa managerialmente ineccepibile).

Avendo passato la mia vita nel mondo delle «Ruote» (auto, trattori, camion) e della componentistica auto (motori, batterie, etc.) è evidente che il nostro sogno nascosto è sempre stata la propulsione elettrica, tecnologicamente banale rispetto alla complessità del ciclo Otto e Diesel, oppure, in via subordinata, la sostituzione del petrolio con l'idrogeno. Così come nel mondo della produzione di energia il sogno è tuttora quello del nucleare pulito (fusione fredda).

Secondo Aldo Pizzuto (direttore Ricerche Enea) fra 50-60 anni le rinnovabili rappresenteranno il 30% del fabbisogno di allora mentre fossili e nucleare il 70%. Se così fosse di cosa parliamo? Vero? Falso? Non lo so, ma a Pizzuto io credo.

Il mio Cameo non presentava ricette o contro ricette, si limitava a riportare alcune ovvietà: l'assoluta mancanza di seri studi di fattibilità sull'auto elettrica di serie, supportati non da chiacchiere o magiche slide ma da una execution effettiva.

Per esempio, il Ttm, il time to market effettivo della Tesla manca, l'uscita viene spostata sempre più in là, chi sa di auto sa che, quando ciò avviene, il flop diventa probabile (per questo il titolo in borsa cede).

Poi i personaggi che propugnano il ceo capitalism, non sanno di cosa parlano ma parlano lo stesso, ergo sono sempre in totale confusione.

Lo scrivo in grassetto, fra i desiderata e i fatti, fra gli obiettivi e l'execution c'è la realtà, c'è la vita.

Non sono disponibile a discutere di desiderata e di obiettivi, o delle visioni visionarie di individui come Elon Musk. Portino i risultati effettivi, si analizzino, poi si valutino. Il resto è politicamente corretto, è noia.