Per tagliare le emissioni di CO2 oggi meglio le auto ibride delle elettriche
Fonte: QualEnergia.it
È il sorprendente risultato di una ricerca del Karlsruhe Institute of Technology e del Fraunhofer Institute.
Hanno calcolato le emissioni che si hanno usando auto elettriche con grandi batterie oppure auto ibride con piccole batterie ricaricabili, valutandone dati storici su percorrenze medie, modalità d'uso e costruzione.
Ormai il mondo sembra aver deciso: per tagliare quel terzo delle emissioni di CO2 derivate dal trasporto stradale, le automobili del futuro saranno elettriche.
Alternative non se ne vedono: l’idrogeno sembra molto più indietro dell’elettrico quanto a sviluppo dei mezzi e della rete di ricarica, mentre i biocombustibili convenzionali rischiano di sottrarre terra all’agricoltura, e quelli avanzati (da alghe e da scarti agricoli) per adesso sono allo stadio di prototipo. Del resto, produrre combustibili per poi bruciarli in un motore che butta via i tre quarti dell’energia come calore, sembra una scelta un po’ folle.
Ma qual è il percorso più rapido per compiere questa gigantesca trasformazione verso l’elettrico, massimizzando nel frattempo anche la riduzione delle emissioni?
Puntare subito su auto elettriche “pure” con una grande batteria (AEB) che consente centinaia di chilometri di autonomia, oppure magari accettare un compromesso e proporre modelli ibridi (plug-in), con una piccola batteria ricaricabile (AIR), che consente di fare alcune decine di chilometri in modalità elettrica?
I modelli AIR accoppiano un motore elettrico a uno a scoppio (in alcuni casi il motore a scoppio agisce in parallelo a quello elettrico sulle ruote, in altri casi serve solo a ricaricare le batterie), ed eliminano così alcune delle limitazioni attuali della auto elettriche: l’autonomia limitata, i lunghi tempi di ricarica, l’ansia da “restare a piedi con la batteria scarica”.
Al tempo stesso, però, secondo alcuni le AIR sono l’estremo tentativo dell’industria automobilistica e petrolifera di restare aggrappate al vecchio mondo dei fossili, e che quindi è meglio evitarle, per saltare subito nel “nuovo mondo del tutto elettrico”.
Per capire quale sia la strada migliore, ricercatori del Karlsruhe Institute of Technology e del Fraunhofer Institute for Systems and Innovation Research, diretti dall’ingegnere Patrick Plötz, hanno realizzato una ricerca, nella quale hanno calcolato le emissioni di CO2 che si risparmiano usando AEB o AIR.
Per farlo, hanno consultato un database dove si riportavano le percorrenze annuali di 73mila modelli AIR e 49mila modelli AEB, in Usa e Germania, constatando che le prime percorrevano una media di 21mila chilometri e le seconde di 18mila.
In entrambi i casi, però, gran parte dei giorni l’auto veniva usata per un massimo di 50-60 chilometri.
Questo significa che mentre le AEB i loro 18mila chilometri li percorrevano interamente in modalità elettrica, anche le AIR, se dotate di una batteria di almeno 60 km di autonomia, erano in grado di limitare l’uso del motore a scoppio ai pochi viaggi lunghi, finendo per percorrere ogni anno in media 15mila chilometri in modalità elettrica, quasi come le elettriche pure.
Il vantaggio di avere minori emissioni durante l’uso delle AEB sulle AIR è quindi molto inferiore a quanto si potrebbe pensare. Ma c’è di più.
Per ottenere la maggiore autonomia elettrica, la batteria delle AEB è 3, 4 o anche 5 volte più capiente di quella delle AIR. Produrre una batteria al litio significa emettere circa 100 kg di CO2 per ogni kWh di capacità; la batteria della media AIR “contiene” 0,6 tonnellate di CO2, contro le 2,6 tonnellate di quella della media AEB.
Considerando anche la CO2 connessa alla produzione del motore a scoppio e del cambio delle AIR, secondo gli autori della ricerca, al momento dell’uscita dalla fabbrica queste hanno sul loro “conto” 1,4 tonnellate di CO2 in meno rispetto a una media AEB.
Considerato che un’auto elettrica fa circa 5 km con un kWh, e considerando una emissione media di 500 grammi di CO2 per ogni kWh di elettricità della rete usata per ricaricare le batterie (valore valido per gli Usa, in Italia sarebbero circa 350 gr/kWh), quelle 1,4 tonnellate corrispondono alle emissioni di poco meno di un anno di percorrenza della AEB.
Con 500 gr di CO2/kWh dall’attuale sistema elettrico, inoltre, le emissioni di un motore a scoppio moderno di piccola cilindrata, sono poco maggiori di quelle di un motore elettrico, per cui quando le AIR lo usano non è che emettano tanto di più della AEB.
«Tutto sommato, considerando questi fattori, non c’è un vero vantaggio delle AEB sulle AIR in termini di emissioni di CO2 nei primi 8-10 anni di vita dell’auto; solo dopo quel periodo le AEB diventano più vantaggiose. Purtroppo, però, 10-12 anni sono anche il tempo di vita stimato per le batterie al litio e, quindi, quel “sorpasso” rischia di non arrivare mai o durare poco», dice Plötz.
Naturalmente, però, via via che i sistemi elettrici diventeranno meno dipendenti dalle fossili e la fabbricazione delle batterie sempre più efficiente, il vantaggio in termini di emissioni delle AEB sulle AIR arriverà sempre prima e si incrementerà.
«Per adesso, però, e ancora per molti anni, considerato il ritmo della decarbonizzazione del sistema elettrico - conclude Plötz - sembra proprio che la scelta migliore per la transizione energetica dei trasporti sia il modello AIR con batterie in grado di dargli un’autonomia di 50 o più km».
Questa conclusione sorprenderà chi era convinto che la via alle auto elettriche fosse la migliore, ma non molti “addetti ai lavori”.
«Sono perfettamente d’accordo con le conclusioni di questo studio - dice l’ingegner Davide Tarsitano, del Politecnico di Milano, esperto di trazione elettrica - del resto anche le case automobilistiche si stanno orientando in quella direzione, progettando ibride plug-in per la loro gamma medio alta, riservando la trazione solo elettrica alle city car. Nelle auto medio-grandi, infatti, c’è più spazio per la doppia trazione e chi le compra vuole essere libero di viaggiare anche per lunghe distanze, senza l’angoscia di trovare la colonnina di ricarica».
Tarsitano però precisa che il modello ideale di ibrida plug-in è quella con il motore a scoppio usato solo come generatore per ricaricare le batterie, non quelle che l’hanno collegato alle ruote.
«Non dovendo collegarlo alle ruote, questo lascia molta più libertà su dove sistemarlo e non c’è bisogno di cambio e frizione. Inoltre il suo funzionamento come generatore permette di farlo andare a un regime costante, aumentandone molto l’efficienza».
Però le uniche auto ibride di questo tipo, Opel Ampera o Gm Volt, sono state un fallimento commerciale.
«L’hanno fatta costare troppo, e poi il range extender, il motore che ricarica la batteria, da 1400 cc era troppo grosso; il range extender deve essere piccolo: evita di far restare a piedi, ma non di avere le stesse prestazioni massime consentite dal motore elettrico. Un esempio di auto di questo tipo è la BMW i3, che ha la possibilità di montare un piccolo “range extender”, che raddoppia i 160 km di autonomia di base con 5 litri di benzina».
Ma ci sono altre ragioni per questa scelta, oltre a quelle individuate dai ricercatori tedeschi.
«Gran parte del costo delle auto elettriche è nella batteria: riducendone le dimensioni e affiancandola con un piccolo motore a scoppio, si abbassano di molto i prezzi della auto».
Quindi le ibride permettono una più rapida elettrificazione del parco macchine, con una riduzione della CO2, come dimostra questo studio tedesco, analoga a quanto si avrebbe puntando sulle auto elettriche pure.
«Infine bisogna considerare che le batterie soffrono ad essere ricaricate velocemente, diciamo sotto ai 40 minuti per una ricarica completa, come accade nelle colonnine stradali che si è costretti a usare se si vogliono fare viaggi lunghi con un’auto elettrica: nelle ibride, invece, la ricarica lenta e continua assicurata dal generatore a bordo, è simile alla ricarica dalla presa di casa ed è la più adatta alle batterie al litio. Gli allunga la vita e ne riduce ulteriormente le emissioni relative alla produzione dell’accumulatore».