Salvare l'ambiente e salvare l'economia

23/01/2018

Fonte: Il Sole 24 Ore

Ogni Paese ha i propri problemi interni, come una pericolosa perdita di inclusione o una costosa contrazione della crescita. Stiamo apprendendo che le soluzioni non si realizzano senza la comprensione del problema da parte della società e un’ampia volontà di intervento.

Ma con il cambiamento climatico, tutti i Paesi condividono anche un problema comune. E sebbene gli esperti abbiano fatto progressi sul piano conoscitivo e siano giunti ad un accordo sugli obiettivi da perseguire, questi obiettivi richiedono da parte della società un sostegno più ampio di quello che attualmente si registra.

Come tutti sanno, la maggior parte dei cambiamenti climatici è iniziata con la combustione dei combustibili fossili comportata dall'industrializzazione, che è iniziata alla fine del diciottesimo secolo e che da allora ha prodotto livelli crescenti di anidride carbonica.

Il clima è già un costo per tutti

Una questione fondamentale è che il clima è già peggiorato al punto da diventare costoso per la società e persino pericoloso per la vita: la violenza degli uragani è aumentata in seguito al rialzo della temperatura dell’acqua nei Caraibi. La qualità dell’aria si sta deteriorando sensibilmente in tutto il mondo. E l’innalzamento del livello del mare sta minacciando molte città situate a bassa quota.

Nel suo recente libro, “Endangered Economies”, l’economista Geoffrey Heal esamina la gamma di misure, pubbliche e private, adottate per bloccare ulteriori cambiamenti climatici. Un punto introdotto da Heal è che il danno – in molti casi, la devastazione – a carico del nostro mondo naturale ha gravi conseguenze non solo per l’aria e l’acqua da cui dipendiamo per la nostra esistenza, ma anche per le imprese, che si sono basate su vantaggi naturali gratuiti come l’impollinazione, il ciclo dell’acqua, gli ecosistemi marini e forestali e altro ancora. Pertanto, preservare il “capitale naturale” aumenterebbe il tasso di rendimento del capitale nel settore imprenditoriale. Le imprese reagirebbero investendo di più, aumentando così la produttività dell’economia. E con ciascuno di questi stimoli, potremmo permetterci uno sforzo maggiore che consentirebbe di preservare ulteriormente il capitale naturale globale.

Il mondo, quindi, deve rinunciare ad aspirare ad una crescita economica tanto rapida da ridurre il capitale naturale del mondo. Vogliamo una crescita economica che sia “verde”, senza danneggiare o distruggere l’ambiente. Allo stesso tempo, vogliamo migliorare l’ambiente senza fermare l’innovazione e la crescita economica. In una serie di efficaci presentazioni e interviste, l’economista e matematica della Columbia Graciela Chichilnisky sostiene che la sopravvivenza dell’umanità richiede che venga rimossa la CO2 già accumulata nell’atmosfera e che ci sia la sicurezza che essa ne resti fuori. Per coprire i costi, Chichilnisky propone un mercato in cui il carbonio catturato venga venduto per uso commerciale.

Un’altra possibile soluzione è “l’agricoltura rigenerativa”, come quella che il biologo Allan Savory ha recentemente introdotto in Patagonia. Se rese proficue, queste innovazioni potrebbero creare un incentivo per gli attori privati ad intraprendere la cattura del carbonio ben al di là di quanto un governo nazionale possa permettersi di perseguire. Tuttavia, il successo dipenderà dal fatto che “l’agricoltura del carbonio” rimanga redditizia anche in un contesto di aumento dell’offerta e quindi di diminuzione dei prezzi.

Il ruolo delle imprese

Dovremo anche fare i conti con sfide fondamentali come la continua crescita della popolazione, l’industrializzazione ed una governance debole. E dovremo trovare un equilibrio tra la lotta ai cambiamenti climatici e la sicurezza che la maggior parte delle persone abbia ancora una vita che valga la pena di essere vissuta.

Si potrebbe guardare al crescente corpus di ricerche sui cambiamenti climatici e concludere che possiamo stare tranquilli: gli esperti hanno già elaborato ciò che deve essere fatto. Ma gli stessi esperti non sono così ingenui. Sanno che le imprese non controllano se stesse, e riconoscono che molto dipenderà dalla possibilità di utilizzare le ragioni del profitto per il bene sociale. Il problema è che troppe persone ritengono che le imprese, le famiglie ed i responsabili delle politiche si limiteranno a fare ciò che gli esperti raccomandano: tutte le imprese – senza pressione sociale o minacce dello stato – pagheranno per i danni che causano; e tutti i governi finiranno per istituire tasse sul carbonio o accordi “cap-and-trade” (permessi di emissioni negoziabili) per ridurre ed infine eliminare le emissioni.

Un altro problema è che molti danni ambientali non sono facili da controllare. Anche se le grandi aziende pubbliche ritengono opportuno compensare il loro inquinamento, ad esempio, ripiantando le foreste pluviali in America centrale, la terra è arrivata ad avere una popolazione umana enorme ed in continua crescita. Questo presenta delle sfide. Come ha dimostrato alcuni anni fa l’economista Dennis J. Snower, attività individuali distinte – come la pesca, la cottura su fornelli a legna, o il semplice scorrimento dell’acqua – possono contribuire in modo significativo all’inquinamento e al degrado ambientale, ma sono ampiamente ignorate da governi, comunità ed individui. Stando così le cose, qualsiasi programma per la protezione ambientale deve basarsi sulla “moral suasion”: invitare cioè tutti gli individui, non solo le imprese, a richiamare qualsiasi senso d’altruismo loro dispongano per mettere a freno volontariamente il proprio inquinamento.

Gli interessi dei governi

Dovremo anche affrontare il fatto che non tutti i governi sono in grado di opporsi ad interessi acquisiti. Le aziende potenti possono farla franca violando le restrizioni ambientali stabilite dal governo, soprattutto se sono la principale fonte di reddito e di occupazione.

Ulteriori difficoltà possono sorgere qualora la maggior parte della gente sia ancora povera ma determinata a diventare ricca – ricca come i paesi più ricchi dell’Occidente. In un Paese del genere, il governo potrebbe non essere pronto a tagliare radicalmente le emissioni di carbonio o altri tipi di inquinamento per non perdere l’obiettivo della crescita. È stato stimato che il 20% della popolazione mondiale rappresenta l’80% del consumo mondiale di risorse naturali. Poiché il diritto alla sopravvivenza supera il diritto di ogni Paese di rovinare l’ambiente in cerca di crescita, i Paesi che guidano la lotta contro il cambiamento climatico dovranno essere severi con quelli che pensano che i costi di riduzione delle emissioni siano troppo alti.

Infine, le energie rinnovabili potrebbero in futuro porre nuove sfide per salari e occupazione. Secondo l’International Renewable Energy Agency, le industrie eoliche e solari statunitensi hanno creato posti di lavoro – impiegando 777.000 persone nel 2016 – mentre l’industria del carbone ha continuato a perderli. Ma questa non è un’osservazione utile, dato che gli occupati che si riversano in nuove industrie provengono generalmente da altre industrie, non da una vasta schiera di lavoratori disoccupati anche se idonei. Sarebbe assurdo pensare che l’occupazione totale venga incrementata da ogni nuova industria in arrivo.

La teoria economica implica che una nuova industria espanderà l’occupazione complessiva solo se il suo metodo di produzione è più labor-intensive della media intersettoriale. Tuttavia, non ho ancora visto i dati per il settore delle energie rinnovabili che affrontano questo problema, e non sarei sorpreso se l’industria diventasse ad alta intensità di capitale nel tempo.

Ho da tempo sottolineato non solo i benefici materiali del lavoro – principalmente i tassi salariali (dal basso verso l’alto) e i tassi di partecipazione della forza lavoro – ma anche il lato non materiale del lavoro (le varie soddisfazioni che le persone traggono dall’esperienza lavorativa). Ora che l’immaginazione e l’ingegnosità dei nostri esperti e ingegneri ci hanno aiutato a svoltare l’angolo, sarà importante tornare al business: concepire nuovi prodotti e metodi di produzione, testarli sul mercato e impegnarsi per l’innovazione.

«La giovane America», disse una volta Abraham Lincoln, «ha una grande passione – una perfetta tensione – per il ’nuovo’». È tempo per tutti noi di essere di nuovo giovani. Mentre si dispiega il progetto di recupero del nostro ambiente e si affrontano e si risolvono le altre sfide internazionali, anche per far rivivere una concezione più antica del lavoro basata sull’esercizio della propria iniziativa e sull’uso della propria creatività. La buona vita deve essere di nuovo intesa come un viaggio personale verso l’ignoto, attraverso il quale si può “agire sul mondo” e “far crescere il proprio giardino” – per essere “qualcuno”.

La preoccupazione – almeno la mia preoccupazione – è che le nostre economie nazionali, molte delle quali già altamente regolamentate in nome della stabilità, diventeranno molto più regolamentate in nome di un’economia verde. Certo, può esserci la necessità di molti regolamenti, ma dobbiamo stare attenti nei nostri sforzi per salvare il pianeta a non soffocare all’origine ciò che rende la vita degna di essere vissuta.

Premio Nobel per l’economia nel 2006, è direttore del Center on Capitalism and Society della Columbia University e autore di «Mass Flourishing»

Sotto, l'articolo completo.